5.8.03

L'ineffabile, ovvero: se chiedessi una fricassea di rognoncini in glassa di gelsi vivrei meglio

Non mi piace il latte fatto bollire/scaldare. Non mi è mai piaciuto. Saprei riconoscerne il sapore anche di una quantità minima, lasciata raffreddare, e versata in un bigoncio di latte fresco. Non parliamo poi delle differenze di aziende produttrici. Potrei tentare il blind test. Ognuno nella vita nasce con un'abilità che lo rende persona unica. Nureyev ballerino, io sommelier di latte. Sì, forse il karma esiste...
Comunque, questo dono di natura mi pone nella scomoda posizione di essere la cosiddetta "avventrice cacacazzi da bar". Ho il massimo rispetto per il lavoro altrui. Giuro, vorrei sempre causare il minimo disturbo possibile con le mie richieste. La famosa scena di Harry ti presento Sally in cui Billy Crystal teorizza l'esistenza de "la donna ad alto mantenimento" mi mette in imbarazzo per la categoria cui mi pregio di non appartenere. Però il latte caldo mi fa schifo. Posso derogare su un cappuccino comune solo nel caso io abbia la matematica certezza che sarà un capolavoro di cappuccino, in cui la schiuma (quella mi piace) abbia una consistenza quasi cremosa.

Altrimenti, per andare sul sicuro, chiedo un "cappuccino col latte freddo". Non lasciatevi ingannare dall'apparente semplicità dell'assunto. Ci son voluti anni di studi (e di beveroni imbevibili) per coniare la locuzione che semanticamente meglio esprimesse la mia richiesta.
Analizziamola parola per parola.

Cappuccino: la parola rimanda al concetto di quella particolare tazza, con quella particolare quantità di caffè (equivalente a un caffè singolo). NON il bicchiere del latte macchiato (sennò chiederei un "latte freddo macchiato"). NON il bicchiere del caffellatte in cui una volta, in pieno dicembre, con 2° C, mi è stato portato il beverone composto da: latte ghiacciato e caffè ghiacciato, residuo di un bottiglione di due estati prima a giudicare dal retrogusto.
Il vantaggio del cappuccino col latte freddo è quello di essere solo freschino d'inverno, e solo tiepidino d'estate. Ho detto che non mi piace il latte caldo, non che amo farmi venire attacchi di colite in un esercizio pubblico.

Ok, abbiamo fatto scendere la quantità di caffè da cappuccino in una tazza da cappuccino. Veniamo al secondo step: col latte freddo. Qui ci si gioca una carta importante. Non basta aver trovato la locuzione che meglio circostanzi il prodotto richiesto. Bisogna improvvisarsi dei novelli Lawrence Olivier per darle anche l'intonazione giusta, che non ammetta equivoci o ambiguità di sorta. Perché ambiguità ce ne sono, come ti fanno notare i *veri* cacacazzi che ti dicono: "Ma guarda che si chiama cappuccino perché la schiuma, che ne è ingrediente essenziale, forma come un cappuccio che...". Nessuno ha mai detto che la lingua è una scienza esatta. Provateci voi a dargli un nome esplicativo, se ne siete capaci.

Io giuro, e giuro perché poi magari sembra che esageri, ma ecco in questo caso non esagero affatto, giuro che tra le tante disavventure (tra cui quella di esser costretta a scrivere e stampare un foglio di Word con l'esatta preparazione dell'esotica bevanda, perché il bar che ci portava le ordinazioni in ufficio sembrava non capire la mia richiesta), giuro che ho visto una volta una barista mettersi quasi a piangere nell'ilarità generale degli avventori, e nell'imbarazzo mio di dover fare la parte dell'avventrice cacacazzi. Era arrivata al secondo step senza intoppi. Probabilmente quella mattina, assonnata, avrò omesso l'intonazione quantitativa delle sillabe nel recitare il mio mantra da bar. Il bar è quello solito delle mie colazioni. La ragazzetta è nuova. Ahia. Comincio a seguire con apprensione i suoi armeggiamenti. Ha davanti solo una tazza da cappuccino, il mio, e ha in mano sia il bricco col latte scaldato, sia il tetrapak col latte fresco. Intervengo soavemente ma con una nota di terrore nella voce: "Guarda, mi basta solo il latte freddo". Mi guarda. C'è il vuoto nei suoi occhi. Quello che probabilmente c'è negli occhi di un militare di leva mandato in missione in mezzo ai cacciatori di teste.

Sorrido, comprensiva e paternalistica. "Guarda, basta riempire la tazza di latte freddo, esattamente come faresti col latte caldo". Accanto a me, due signori ridacchiano a volume zero. Tento di spegnere la targa luminescente "cacacazzi" che mi lampeggia in fronte, e sorrido benevola ai signori. Errore clamoroso. La barista ha avuto tempo e modo di riempire a metà la tazza con l'ingrediente giusto, ma, mentre sto di nuovo volgendo lo sguardo verso di lei, colgo con la coda dell'occhio la scena terrificante in cui dal bricco del latte vaporizzato schiuma e latte caldo stanno scendendo inesorabili nel MIO EX cappuccino col latte freddo.

"NOOOooo...". Inutile tentare di rimodulare l'esclamazione in corsa. L'urlo di dolore e di rabbia è trapelato da quelle vocali strozzate. Il volume delle risatine si alza. La barista mi guarda tremolante. Tento di togliere il sottofondo di stizza dalla frase "E' semplice... tazza da cappuccino... caffè caldo... latte FREDDO... STOP!", ma la voce che esce fuori è ultraterrena, appartiene a qualcun altro, NON E' LA MIA! La barista è basita. Un luccicone le brilla tra le ciglia da cerbiatta abbandonata in mezzo a un mondo di leoni dalle peculiari galatto-preferenze. Gli altri leoni ruggiscono dalle risate. Io sono di un'elegante tinta tra il ciliegia e il bordeaux che Valentino mi invidierebbe tantissimo.

Giunge il proprietario del bar, in soccorso di noi tutti. Convoglia la cerbiatta verso un più ortodosso caffè macchiato, mi fa il mio cazzo di cappuccino col latte freddo comme il faut, che viene trangugiato e pagato nello stesso secondo per agevolare la mia precipitosa fuga.

Baristi di tutto il mondo, vi prego, è semplice. Se volete faccio arrivare anche a voi la ricetta. It's easy, it's fun. Fatemi il mio cappuccino come dico io. Io in compenso continuerò a mangiarmi quei soprammobili di gommapiuma che avete il coraggio di chiamare "brioche".

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