"Certo, pero', che pure qui..."
"Che palle!" diranno subito i miei piccoli lettori... "Te ne andasse mai bene una!"
No, no, fatemi finire.
Dunque, in quella che presumibilmente e' la prima tappa dei miei vagabondaggi irrequiet-sentimentali sono finita in un paese che chiamero' Super Cannes.
Non sono esattamente a Super Cannes (che esiste e lotta insieme a noi, cioe', non proprio insieme a noi, ma fra un po' ci arrivo), ma in uno dei millemila paesotti e conglomerati urbani che allietano la vista di chi decide di attraversare in macchina la Costa azzurra. Che e' un bellissimo posto, paesaggisticamente parlando, ma ha una densita' cementizia che non ricorda esempi italici di abuso edilizio solo perche' qui le amministrazioni locali hanno deciso di specularci in chiaro.
Chiamero' il paese rivierasco Super Cannes perche' la mia prima associazione mentale con la Costa azzurra e' di stampo libresco, ed e' firmata JG Ballard. Ora, sfronzoliamo pure della metafora capitalistica quest'angosciante ritratto fantasociologico: vi assicuro che i dettagli fattuali non si allontanano tanto dalla realta'.
Il senso di spaesamento che si prova arrivando qui e' reale, e non solo perche' il mio cervello continua a ragionare per rioni e l'unico fatto in grado di scuotere il mio agnosticismo praticante e' la pizza bianca calda con la mortazza (o quella con le patate di Pizzarium). Sognero' pure una casa ar Trionfale, ma riesco ancora ad apprezzare la bellezza di un albero di mimosa che sta per esplodere a due metri dal mio balcone. Oppure il fatto di poter studiare accoccolata sul divano mentre fuori c'e' la Sanremo degli uccelletti e il mare mi sbrilluccica sull'orizzonte a un chilometro scarso.
Qui ci si sente spaesati perche' la bellezza e' un ghetto. Dorato quanto si vuole, ma ghetto.
E quindi paghi per vivere in una gated community (il non plus ultra qui e' avere il guardiano all'entrata, io e C. siamo di poche pretese e ci siamo accontentati della piscina). E per vivere nell'illusione della bellezza devi infilarti in macchina prima di uscire dal cancello del residence per andare a chiuderti nel ghetto dorato del posto di lavoro, perche' bastano pochi passi per finire nella versione assolata della Cassanese mixata col Bronx, e quando vai a piedi non sai bene se preferiresti essere messa sotto da una Megane impazzita oppure scippata e picchiata da una banda di teppisti locali. Ecco, io non so se la' fuori ci siano teppisti locali pronti a scipparti e a stuprarti (di sicuro e' pieno di Megane impazzite). Ma l'atmosfera che sento prepotente e' quella. E' quella della sicurezza da comprare a caro prezzo, del "Checcazzo esci a fare, guarda che casa della madonna hai", quella della paura.
Mi consolo solo pensando che sono appena arrivata. Magari a forza di sfornare quiche mi tolgo dalla testa Ballard. Vado a cercarmi lavoro nel ghetto. Orvua'.
12.2.08
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3 commenti:
cheppaura, pa'. In bocca al lupo. miic
tsk tsk sempre a rompe li cojoni
tieni una rubrica fissa su sta lettura ballardiana.
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