13.3.08

McCain e l'(auspicabile) estinzione dei dinosauri

Siccome a questo blog gli ci piace fasciarsi la testa molto in anticipo, e visto che dappertutto ci si accapiglia sulla questione Clinton vs Obama, vorrei lanciare i miei consunti 2 eurocent un po' più lontano. Al primo giovedì di novembre, per intenderci.

Ordunque: chiunque vinca le primarie democratiche, per me, sarà presidente. Lo dico qui, così magari a novembre ve ne siete dimenticati tutti e se le mie acute analisi sono toppate potrò cancellare il post e fischiettare sgarzola, negando persino l'evidenza della cache di Google.

Però ne sono convinta veramente. Due le ragioni fondamentali (tre se ci mettiamo quella classica: statisticamente i presidenti Usa si fanno due mandati e poi c'è l'alternanza. Alternanza: un giorno, forse, capiremo cosa significa).

Uno. Ragione strategica. I candidati repubblicani si sono ritirati dalle primare alla velocità della luce (o quella dei topi che abbandonano la nave che affonda, decidete voi). Eppure almeno Romney e Giuliani se la stavano gustando da tempo questa chance presidenziale. Huckabee ci ha messo un tantino di più ad arrivarci, ma è un predicatore battista creazionista, non è che l'acume ce l'abbia in bundle. E non è dietrologia la mia: Romney non si fa scrupolo di dichiarare che si ripresenterà nel 2012, e persino i battisti creazionisti sanno che un candidato che perde le elezioni farebbe meglio a trovarsi un lavoro da netturbino piuttosto che ripresentarsi alla fine del mandato. E quindi non credo che l'ipotesi "Vieni avanti, cretino" sia tanto campata in aria. Perché McCain? Beh, perché almeno McCain riesce a tenere i voti conservatori, quelli che piuttosto che votare un democratico si farebbero togliere il SUV. E soprattutto perché chissenefrega se McCain perde e non può più ripresentarsi. Tanto è vecchio.

Non uomo di esperienza. Non anziano. No. Vecchio.

Ed ecco che arriviamo alla ragione numero due della mia adamantina convinzione. Quella sociologica. Io non credo che in Italia questo concetto arrivi forte e chiaro. Dopo i sessant'anni negli Usa sei un vecchio. Alla facciazza della correttezza politica. Quando C. mi dice che a cinquant'anni vuole andare in pensione, ci metto sempre quei due minuti prima di realizzare che no, davanti a me non ho un Cobas fatto di crack in vena di rivendicazioni estreme. Ho una persona che viene da una cultura in cui il valore della persona non cresce con l'andare degli anni. Se mettiamo "valore" ed "età" sugli assi di un piano cartesiano, in America disegnano una bella parabolona, mica una linea retta.
Non dico che è giusto. Non dico che è sbagliato. Mi limito a registrare il dato di fatto.

In America quando arrivi a ventun'anni non è che puoi solo bere. Sei ufficialmente un adulto. Nel senso che per quell'epoca è il caso che ti levi dalle palle di mamma e papà. E con una certa prescia. Nel mondo del lavoro corporate a trent'anni sei manager. A quaranta arrivi all'apice della tua carriera. E poi ti aggrappi fin che puoi. Perché sai che sta per arrivare chi ti fotte il posto. Qui noi ancora a farci le pippe sugli scaloni (un problema dai contorni drammatici, tutti quei poveri 59enni che avrebbero dovuto aspettare due anni e non uno prima di andare in pensione: io ancora piango la notte quando penso al pericolo che hanno scampato). Lì in pensione presto ci vanno perché è il mercato del lavoro che lo richiede.

Quindi, probabilmente, in Italia non ci rendiamo conto che per gli statunitensi vedere i nostri senatori a vita scortati in aula dalle badanti è una specie di lascito tribale che, per esoticità, è rivaleggiato solo dal pasto rituale dei cacciatori di teste del Sarawak. E non ci rendiamo conto che Veltroni è inneggiato mica perché all'estero sono tutti imbecilli, ma solo perché risultava inconcepibile per uno straniero (anglosassone, per di più) vedere Berlusconi e Prodi ancora lì a duellare da più di quindici anni. E col catetere in mano.

Il fatto che l'Italia sia un paese in mano ai vecchi dovrebbe essere noto a tutti (senza andare a scomodare le inchieste dei vari Economist, Financial Times, e così via); che le speranze di crescita per gli esemplari sani e adulti della specie siano quasi nulle, inzaccherati come sono nella pelosissima categoria dei gggiovani, ormai dovrebbe essere affiorato nell'inconscio collettivo; dubito ancora che si sia capito quanto l'etichetta gggiovani sia schifosamente strumentale, e mi domando sempre il perché non scoppi una cazzo di rivoluzione ogni volta che Vespa ci fa una trasmissione demente sopra. Ma questa è un'altra incazzatura (e un altro post).

Quello che vorrei far notare qui è che l'età sarà un fortissimo handicap per McCain. Soprattutto ai pundit de noantri che scrollano la testa di fronte a Clinton o Obama, dicendo "E' donna/nero".
Non sottovalutate l'età. Negli Usa conta, eccome. Con il personalissimo augurio che cominci a contare pure in Italia. E che presto i gggiovani siano pronti e desiderosi di cedere il posto agli anziani. Solo sull'autobus, però.

3 commenti:

michele ha detto...

è che quando succederà saremo NOI i vecchi, 'nnaggiatté ;)

Eugenio Mastroviti ha detto...

Da questo lato c'è un quarantenne che ti sta augurando menischi e sciagure.

Com'è 'sta cosa che quando avevo vent'anni il successo arrivava a sessanta, e adesso che ne ho quaranta, tutti lì a dirmi che ho perso il treno dieci anni fa?

Paola ha detto...

miche': ti preparo la stanzetta nel residence in Florida. Vuoi quella col materasso ad acqua o quella coi fenicotteri dorati? Portati spazzolino e camicia hawaiana.

eugenio: i menischi fanno le corna e ringraziano. Ma credo che ormai all'estero ci abbiano fatto il callo col fatto che gli arriviamo un pochino più stagionati della media...