Cinquanta, forse cento, tra singoli e associazioni si sono presi la briga di presentare un esposto in procura, accusando una persona di omicidio. Cioè, non si sono accontentati di pensare, ma anche affermare, o manifestare sotto le finestre della clinica, che sospendere idratazione e alimentazione è un omicidio -- that's democracy, baby! e tutti hanno diritto di dire la loro.
No, qui ci sono cinquanta, forse cento, tra singoli e associazioni, che una mattina si sono svegliati, hanno fatto colazione, e sereni come l'aurora sono andati in procura a dire: "Stanno uccidendo/Hanno ucciso una persona!".
Cioè, questi qui non è che lottano per un credo, per un'idea, per salvaguardare quello che loro ritengono un valore inalienabile. No, questi vogliono vedere Beppino Englaro in prigione. Compreso quel galantuomo di Taormina (che se anche non ha fatto l'esposto, l'ha quantomeno rumorosamente ventilato).
A questi cinquanta, forse cento, tra singoli e associazioni, dedico la versione riveduta e corretta di uno degli accidenti romani più classici.
E visto che morte e malattie non si augurano, opto per una luuuunga vita, quella che per loro è talmente sacra e piena da meritare di far mandare in prigione un padre che per 17 anni ha dovuto affrontare ogni cazzo di giorno il più lacerante tra i dolori: la perdita di un figlio.
27.2.09
Mavvà a non morì idratato
Pubblicato da Paola alle ore 10:08
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